Gli astrofisici ne sono convinti: l’Universo è un grande ologramma

Lo studio è firmato da scienziati di Regno Unito, Italia e Canada e può aprire nuovi scenari sulla teoria del Big Bang e sulla gravità quantistica

L'universo

L’universo

globalist 30 gennaio 2017

A mostrare una prima evidenza di quanto già ipotizzato nel 1990 è uno studio internazionale pubblicato su Physical Review che ha coinvolto fisici e astrofisici teorici di Regno Unito, Italia e Canada. I ricercatori hanno pubblicato prove di osservazione che spiegherebbero quindi una visione olografica 2D dell’Universo. Lo studio può aprire nuovi scenari sulla teoria del Big Bang e sulla gravità quantistica, uno dei problemi più profondi di fisica teorica.

Ad annunciare la scoperta è l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Lo studio è stato realizzato da ricercatori dell’Università di Southampton in Inghilterra, della Sezione di Lecce dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dell’Università del Salento in Italia, del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo in Canada.

“Gli scienziati ora sperano che il loro studio possa migliorare la nostra comprensione dell’Universo e spiegare come lo spazio e il tempo si siano prodotti” spiega l’Infn. Questo lavoro potrebbe portare ad una teoria del funzionamento della gravità quantistica, una teoria che armonizza la meccanica quantistica con la teoria della gravità di Einstein. La ricerca è frutto di un’analisi congiunta di aspetti teorici e fenomenologici della fisica dell’universo primordiale, uniti a studi di fisica delle interazioni fondamentali.

“L’ipotesi che il nostro universo funzioni come un enorme e complesso ologramma è stata formulata negli anni ’90 del secolo scorso da diversi scienziati, raccogliendo evidenze teoriche in vari settori della fisica delle interazioni fondamentali” spiega Claudio Corianò, ricercatore dell’Infn e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, che ha partecipato alla ricerca insieme ai colleghi Niayesh Afshordi, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis.
“L’idea alla base della teoria olografica dell’universo -prosegue Corianò- è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni – più il tempo – siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno”. Si può immaginare, rimarca l’Infn, “che tutto ciò che si vede, si sente e si ascolta in 3D – e la percezione del tempo – sia emanazione di un campo piatto bidimensionale, cioè che la terza dimensione sia ‘emergente’, se paragonata alle altre due dimensioni”. “L’idea, quindi, -continua l’Istituto italiano- è simile a quella degli ologrammi ordinari, in cui l’immagine tridimensionale è codificata in una superficie bidimensionale, come nell’ologramma su una carta di credito, solo che qui è l’intero universo a essere codificato. In un ologramma la terza dimensione viene generata dinamicamente a partire dall’informazione sulle rimanenti due dimensioni”.
“Per creare un ologramma -spiega ancora Corianò- si prende un fascio laser luminoso e lo si separa all’origine in due fasci: uno è inviato su un oggetto distante e quindi viene riflesso, mentre l’altro è inviato per essere registrato. Servono due coordinate per indirizzare il fascio incidente sull’oggetto, in modo da esplorarlo completamente, mentre è proprio l’interferenza tra il fascio originario e quello riflesso che permette di ricostruire l’immagine e dare il senso della profondità”.
Si può rappresentare il concetto pensando al cinema in 3D. Anche in questo caso, afferma l’Infn, “la visione 3D è il risultato di due immagini differenti inviate all’occhio destro e all’occhio sinistro, dove una scena viene ripresa da due angolature distinte, che il nostro cervello processa automaticamente generando il senso della profondità. L’informazione, in questo caso, viene da uno schermo piatto, ma è percepita dall’osservatore come tridimensionale”.
“In ambito cosmologico, per avere una rappresentazione semplificata della formulazione olografica, possiamo immaginare -conclude l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare- che ci sia una superficie ideale, sulla quale tutta l’informazione dell’universo venga in qualche modo registrata, come in un ologramma: uno schermo che contiene la ‘scena’ dell’intero universo”.

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