Quella luce intorno a noi: una ricerca «cattura» i biofotoni

Dal Corriere della Sera

Partito al Bellaria di Bologna uno studio che coinvolgerà 600 persone per verificare se esiste una relazione tra emissione di biofotoni e benessere percepito

di Benedetta Boldrin
 

BOLOGNA – C’è una luce attorno a noi, che noi stessi produciamo. È fatta di biofotoni: emissioni molto deboli di energia luminosa, appunto. Non è un’energia «ferma», varia — secondo studi di fisica quantistica — in base a come ci sentiamo. Una ricerca scientifica al Bellaria di Bologna se ne sta occupando, indagando proprio questo aspetto: alla Psicologia ospedaliera del Dipartimento oncologico dell’Ausl diretta da Gioacchino Pagliaro stanno ingaggiando le prime 300 persone (altre 300 saranno chiamate più avanti) per verificare se esiste una relazione tra emissione di biofotoni e benessere percepito.

I biofotoni fotografati

Che i biofotoni esistano «è dimostrato ormai da sufficiente letteratura scientifica e diverse università occidentali li hanno già studiati», spiega Pagliaro, pur se nel mondo scientifico non tutti li danno per accertati. Lui, che ora guida la ricerca autorizzata dall’Ausl, del tema si occupa da molti anni. Uno studio da lui stesso coordinato, pubblicato lo scorso ottobre sulla rivista scientifica Baoj Physics specializzata in fisica e biomedicale (Human Bio-Photons Emission: an observational Case Study of Emission of Energy Using a Tibetan Meditative Practice on an Individual), ha messo in evidenza come questa energia si possa addirittura trasferire da un individuo a un altro e, soprattutto, che questo sia visibile. Non dall’occhio umano naturalmente, ma da sofisticate apparecchiature che utilizzano una tecnologia sviluppata dalla Nasa e possono «fotografare» i biofotoni. Si trattava, nello studio pubblicato, di verificare il comportamento di questa energia all’interno di una pratica curativa della medicina tibetana (Tsar Lung): nelle immagini si vede una sorta di onda che circonda il terapista che si allarga e si sposta sopra la testa della persona che riceve l’energia. «È la prima volta — spiega Pagliaro — che i biofotoni vengono fotografati in movimento».

Le apparecchiature della Nasa

Per farlo sono state usate due apparecchiature. La prima contiene una tecnologia utilizzata in campo astronomico per captare emissioni di luce nella banda dell’ultravioletto, non visibile all’occhio umano: si trova per esempio in telescopi della Nasa, per vedere stelle molto lontane. L’altra macchina — si legge sempre nello studio — ha un sistema utilizzato in alcuni aeroporti Usa per la sicurezza: i suoi sensori rilevano le «vibrazioni» collegate per esempio a stati di tensione psicologica.

La ricerca al Bellaria

La stessa tecnologia Nasa viene ora utilizzata al Bellaria per fotografare i biofotoni di trecento persone sane tra i 18 e i 69 anni, selezionate casualmente dall’anagrafe sanitaria dell’Ausl di Bologna. Ai partecipanti vengono sottoposti tre diversi questionari, uno per la rilevazione dello stato psicologico e due per la valutazione dello stato di salute percepito. Poi, una volta indossato un camice che rende più uniformi i colori dei vestiti, vengono semplicemente fotografati. Le immagini sono tutte diverse: in qualche caso per esempio la luce è verde, in altri rossa (il colore dipende dalla frequenza), talvolta appare uniforme, altre volte ha un effetto maculato e anche la forma della «nuvola» attorno alla persona cambia. La seconda fase della ricerca prevede il coinvolgimento di altre 300 persone, in questo caso malati oncologici. Sta ai ricercatori capire se esiste una corrispondenza, ed eventualmente studiarne la relazione, tra l’emissione di questa energia luminosa e il benessere percepito dalla persona.

I risultati nel 2019

I risultati sono attesi per la primavera del 2019. Per il momento ci sono la curiosità e l’interesse che questa ricerca sta già suscitando. «Le persone arrivano chiedendo quanto tempo ci vuole perché hanno fretta, poi non se ne vanno più via — racconta Pagliaro — Fanno tantissime domande interessanti».

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