Smog nel cervello, “Così l’inquinamento contamina i neuroni”

Risultati immagini per ernesto burgio

Scoperte sul tessuto cerebrale di persone che vivono in aree molto trafficate. Potrebbero essere collegate all’Alzheimer.

Immagine anteprima YouTube

PARTICELLA dopo particella, lentamente, si insinua nelle mucose e arriva ad avvelenarci. Non solo i polmoni, non solo nel sangue. Ma anche nel cervello. La scoperta è dei ricercatori dell’università di Lancaster che, sulla rivista scientifica Pnas, hanno dimostrato, per la prima volta, che i veleni delle città penetrano anche tra neuroni e sinapsi. Particolato ultrafine di magnetite (un ossido di ferro), prodotto dal traffico e dagli impianti di generazione di energia, responsabile di malattie polmonari e cardiocircolatorie, che questo lavoro inglese lega anche all’Alzheimer.

Lo studio. Gli studiosi hanno preso in esame il tessuto cerebrale di 37 persone.  Fra questi 29  vivevano a Città del Messico, uno dei centri urbani più inquinati al mondo, e avevano tra 3 e gli 85 anni. Le altre 8 provenivano invece da Manchester, tra i 62-92 anni. Fra loro molte erano decedute a causa di malattie neurodegenerative. Tutti contenevano grandi quantità di nano-particelle di ossidi di ferro, della stessa forma sferica di quelle che si creano con la combustione, mentre quelle derivanti dal ferro presente naturalmente nell’organismo hanno forma di cristalli. In misura minore sono state trovate tracce di altri metalli, come il platino, contenuti nelle marmitte catalitiche.

Sui capelli. In un precedente test, l’autrice della ricerca, Barbara Maher,  aveva identificato particelle inquinanti sui capelli di persone che si trovavano in strade molto trafficate di Lancaster. A quel punto ha deciso di analizzare anche il tessuto cerebrale. “E’ estremamente preoccupante – commenta Barbara Maher, l’autrice principale, alla Bbc -. Quando si studia il tessuto si vedono le particelle distribuite fra le cellule, e quando si fa un’estrazione magnetica si trovano milioni di particelle in un singolo grammo di tessuto. Sono un milione di opportunità di creare danno. Queste sostanze sono un pericolo per la salute e potrebbero favorire l’insorgenza di patologie come l’Alzheimer”.

“Si tratta di particolato ultrafine che viene prodotto dal traffico, soprattutto dai motori Diesel, dagli impianti di produzione di energia e dagli inceneritori – spiega Ernesto Burgio, presidente del Comitato Scientifico di Isde-l’Associazione medici per l’ambiente – .Queste particelle possono spostarsi per decine di chilometri. Sono talmente sottili da riuscire a superare tutte le barriere biologiche: la membrana nucleare, interferendo sull’espressione del DNA, la barriera emato-cerebrale, ma anche la placenta, influendo sulla programmazione genetica del feto e aprendo così la strada a disturbi del neurosviluppo, patologie di tipo immunologico e, secondo alcuni studi, anche a tumori”.

Nessuna certezza. Le microparticelle osservate dai ricercatori inglesi sono di diametro inferiore a 200 nanometri e possono spostarsi dall’aria alle terminazioni nervose del naso e da qui al cervello. Inoltre, nei tessuti cerebrali sono state isolate nanoparticelle di metalli presenti nei motori, ma raramente nell’organismo, come il platino. Abbastanza per ipotizzare una correlazione fra malattia e smog. Ma non c’è nessuna certezza di un rapporto diretto con l’Alzheimer. “Il legame con le malattie neurologiche è dato dal fatto che il ferro “libero”, contenuto nelle particelle inquinanti, facilita la formazione di radicali liberi che alterano tutti i componenti della cellula – spiega Massimo Tabaton, professore di Neurologia all’Università di Genova dove studia proprio le cause dell’Alzheimer – . Nella malattia di Alzheimer questo fenomeno che chiamiamo stress ossidativo è una componente importante nella degenerazione dei neuroni. Anche perché facilita la produzione della proteina beta- amiloide, associata alla malattia. Ma per ora le prove non sono sufficienti per stabilire un collegamento fra eccesso di ferro e il morbo”.

Gli altri studi. Lo studio in questione non è il primo che associa l’inquinamento atmosferico a patologie neurodegenerative come l’Alzheimer. Una ricerca dell’Università del Montana, coordinata da  Lilian Calderón-Garcidueñas, aveva già messo in evidenza il particolato ultrafine e i suoi componenti metallici che se inalati o ingeriti, passano attraverso le barriere danneggiate, comprese le vie respiratorie e gastrointestinali e la barriera emato-encefalica, provocando effetti nocivi di lunga durata e, in particolare, una maggior probabilità di ammalarsi di Alzheimer.

La ricerca sui cani. “I primi studi importanti furono condotti, una decina di anni fa, nell’area di Città del Messico, a causa del suo alto tasso di inquinamento. – aggiunge Burgio – Un gruppo di epidemiologi e pediatri, coordinato dalla dottoressa Calderón-Garcidueñas, aveva individuato la presenza della forma patologica della proteina beta-amiloide, collegata all’Alzheimer, nel lobo frontale e nell’ippocampo dei cani. Insieme a questa proteina si erano depositati anche metalli pesanti. Uno studio analogo, fu condotto successivamente su autopsie di adolescenti sani, morti a Città del Messico per incidenti stradali e anche in questo caso si trovarono i depositi cerebrali di beta-amiloide alterata. In pratica gli studi della Maher confermano, dunque, il ruolo che particolato ultrafine e metalli pesanti potrebbero svolgere nella genesi di   malattie neurodegenerative – in continuo aumento nel mondo – come l’Alzheimer”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.